Testimonianza di A. donna colpita da SLA, che ha usufruito del progetto “Resilienza a domicilio”.
La SLA fa parte della mia vita da sempre, la familiarità a questa patologia ci perseguita da generazioni; ho visto ammalarsi zii e cugini, poi il mio papà ed ora tocca a me.
Quando la malattia colpì mio padre il dolore fu grande, e sapevamo cosa gli sarebbe accaduto nel corso del tempo; lo sapeva anche lui, l’aveva visto negli occhi dei suoi affetti che prima di lui erano stati colpiti e sconfitti dalla malattia. A noi figli non rimaneva altro che stargli vicino, accudirlo, farlo sentire amato e pregare per lui. Un giorno, sfinito dalla lotta impari con la malattia, papà andò via. La vita lentamente ripartì; io volevo solo pensare ai miei figli, riprendermi i miei spazi, gioire delle piccole libertà e soprattutto ritornare a prendermi cura della mia famiglia. Eppure,… eppure non ero tranquilla, avvertivo delle sensazioni indefinite alle miei mani: nulla di buono. E anche se all’inizio facevo finta di nulla, dentro di me sapevo perfettamente cosa stesse per accadere. Ben presto passai dal presentimento alla diagnosi: SLA.
Cosa provai in quel momento? No, niente rabbia, ma dolore e tanta preoccupazione per la mia famiglia. Innumerevoli domande affollarono la mia testa; tanti i dubbi e le paure. Mi tenni stretta ogni sensazione perché non volevo preoccupare i mie figli e mio marito.
Purtroppo le relazioni cambiano con una malattia in casa, così come cambiano gli equilibri e il modo di stare insieme: insomma ti cambia la vita e il modo di viverla. Un giorno una mia amica, vedendomi particolarmente tesa, mi parlò del progetto “Resilienza a domicilio” dell’associazione Io Posso. In un primo momento restai indifferente e poco interessata all’idea di condividere la mia storia con un estraneo, se pur un professionista, ma poi ci ripensai e chiamai.
La presenza di uno psicoterapeuta è stata molto importante; tutta la famiglia si è ritrovata a dialogare e a “mettere fuori” sensazioni che ognuno di noi si teneva dentro per paura di ferire l’altro; per il timore di non essere capito. Oggi tra di noi parliamo molto di più, però sarebbe importante il supporto costante di uno psicoterapeuta per tutte le famiglie con persone malate di SLA: spesso ci sentiamo soli e isolati nel nostro dolore e questo rende la situazione ancora meno sopportabile.
Se credo in Dio? Sì, sono fortemente credente. Ma mi domando spesso che senso abbia la vita se deve essere vissuta con così tanta pena. Vorrei avere avere la forza di rinunciare alla tracheotomia e questo suscita in me dei dubbi morali. È un percorso molto indefinito e difficile. La mia speranza è oggi che la ricerca possa fare in fretta e si possa ricominciare a vivere. Lo spero per me, per tutte le persone come me, e per i miei figli che ogni qualvolta mi dicono “mamma mi sento strano”, mi assale la paura che la SLA possa colpire anche loro.
Io pian piano mi sento sempre meno attiva e questo pesa tanto soprattutto su mio marito che si prende completamente cura di me rinunciando anche lui alla sua vita. In più, con l’isolamento imposto dalle misure cautelative per l’emergenza coronavirus, la situazione è anche peggiorata: hanno sospeso tutto, dalle visite dei fisioterapisti alla riabilitazione in piscina. Le famiglie, anche in questo caso, si sono dovute adattare, spesso ricorrendo a visite specialistiche private e dunque a pagamento, che risultano essere molto pesanti da sostenere per chi, come me, riceve una pensione di invalidità di poco più di 250 euro al mese.
La mia richiesta è solo una: NON LASCIATECI SOLI!
Testimonianza raccolta da Raffaella Arnesano.
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