Intervista a Fernando de Paolis, Neurologo territoriale presso il Distretto Socio Sanitario Galatina.

Dottore che cos’è la SLA?

La S.L.A. – Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale e periferico. Appartiene ad un gruppo di patologie caratterizzate dalla progressiva degenerazione e morte selettiva di quel tipo particolare di cellule nervose (neuroni) che hanno l’esclusiva finalità di attivare i muscoli e determinare il movimento (chiamati motoneuroni). Qualunque movimento noi facciamo avviene grazie ad una staffetta di segnale nervoso tra due motoneuroni: il primo che dalla corteccia motoria arriva al midollo spinale e il secondo che dal midollo, attraverso il nervo periferico, arriva ai muscoli.

La S.L.A. colpisce e fa morire entrambi questi sistemi motoneuronali portando alla perdita progressiva, irreversibile e completa di tutte le funzioni motorie della persona che ne è stata colpita (camminare e muoversi, parlare e comunicare, deglutire, respirare), con conseguente paralisi completa, necessità di essere alimentati e ventilati artificialmente

Quali i sintomi che possono fare presumere che un paziente sia affetto da S.L.A.?

Essendo una malattia che colpisce il sistema motorio i primi sintomi che il paziente inizia ad accusare sono legati alla perdita di forza e di destrezza motoria nei distretti muscolari che iniziano a perdere l’innervazione dei motoneuroni.

Nella forma classica di S.L.A. i distretti corporei d’esordio più frequenti sono quello spinale (ossia i muscoli degli arti e del tronco) e quello bulbare (muscoli del distretto cranio-cervicale e faringo-laringo-palatino): nel primo caso il paziente inizia ad avere difficoltà nell’uso delle mani (es. aprire una bottiglia chiusa, stringere un oggetto..) o deficit di forza distale ai piedi (ad esempio con rischio di cadute accidentali su piccole sconnessioni del terreno); nell’esordio cosiddetto bulbare invece il paziente inizia ad avere difficoltà ad articolare bene la parola (disartria, voce nasale), o a deglutire  (disfagia).

Come si arriva ad una diagnosi di SLA?

Arrivare alla certezza diagnostica è un iter complesso, ma doveroso per i gravosi risvolti prognostici che comporta per il paziente: su una diagnosi di SLA non dobbiamo avere dubbi; i criteri diagnostici attualmente riconosciuti a livello internazionale per la S.L.A. definita si fondano sulla evidenza clinica della contemporanea compromissione del primo e del secondo motoneurone in tre distretti corporei: poiché questo si può verificare non immediatamente (ma spesso dopo alcuni mesi dall’esordio dei sintomi) vi sono degli stadi clinici di minore certezza diagnostica riconosciuti (S.L.A. probabile o possibile). Questo iter clinico deve prevedere ovviamente tutta una serie di indagini strumentali e paracliniche (EMG, neuroradiologia, esami ematici, esame del liquor) che escludano in diagnosi differenziale tutte quelle condizioni che possono determinare una compromissione delle vie motorie ma di altra natura (magari non progressiva o completamente curabile con terapie specifiche). Tutto questo, che spesso comporta un naturale tempo diagnostico tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi definita, dovrebbe essere svolto e coordinato dai centri clinici specializzati in malattie del motoneurone e diagnosi di S.L.A., e pertanto accreditati per la certificazione e la definizione del piano terapeutico assistenziale della malattia (D.M. 279/2001).

Quanto è importante arrivare ad una diagnosi quanto più precoce possibile?

Ai fini della progressione neuropatologica e della storia naturale della malattia purtroppo cambia pochissimo: non esistono al momento terapie in grado di arrestare la neurodegenerazione tipica della malattia, ma alcuni farmaci (es. riluzolo, edaravone) sono stati approvati per l’utilizzo nella S.L.A. in quanto in grado di rallentare lievemente il decorso della malattia nel tempo.

Sicuramente però una diagnosi puntuale consente di iniziare quanto prima la presa in carico globale del paziente, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita in ogni fase della malattia.

La vera cura di un paziente affetto da S.L.A. deve essere globale e gestita da un team multidisciplinare che si occupi non solo degli aspetti diagnostici e di assistenza clinica in tutte le fasi della malattia, ma che sia di supporto e riferimento anche per il sistema familiare e dei caregivers: dalle figure a vario titolo coinvolte nella gestione sanitaria (medico di base, neurologo, fisiatra, pneumologo, rianimatore, gastroenterologo, dietista, logopedista, fisioterapista, infermieri) a professionalità impegnate nell’aiuto psicologico e cognitivo-comportamentale (es. assistente sociale, psicologo).

Queste in particolare dovrebbero aiutare paziente e caregivers ad affrontare fasi cruciali della vita con la SLA, come quelle della comunicazione diagnostica, della consapevolezza della perdita di autonomia motoria, delle scelte legate ai presidi di supporto vitale, della perdita della capacità di comunicare e fino alle scelte legate alle disposizioni di fine vita e terapia palliativa nella fase terminale della malattia.

Arrivare a un protocollo di presa in carico globale del paziente, così come si sta lavorando a livello regionale, è una cosa auspicabile per garantire sempre, in ogni fase della malattia, tutto quello di cui il paziente necessita a domicilio con modalità comodamente fruibili e standardizzate.

Intervista di Raffaella Arnesano.