Gaetano ha avuto l’esordio di SLA a 38 anni, fino ad allora era un poliziotto del nucleo della polizia scientifica che, dopo 20 anni di carriera in giro per l’Italia, aveva finalmente avuto il trasferimento nella sua amata terra, il Salento. Era lì che avremmo cresciuto le nostre due bimbe e vissuto la nostra vita. Tutto trascorreva in serenità e con la nostra proverbiale voglia di fare e di progettare. Mai avremmo creduto che la nostra quotidianità sarebbe stata stravolta da una notizia così brutta e inaspettata: “Gaetano è affetto da SLA”, questa la diagnosi. Quelle parole mi arrivarono in faccia con la forza di un treno in corsa; con una violenza e un dolore così intenso da lasciarmi stordita per un po’. Mille domande accompagnavano le mie giornate “Cosa accadrà?”, “Come farò”, “Come potrò aiutarlo?”, “Ce la farò?”.
La SLA è una malattia neurodegenerativa e in ogni momento porta con sé delle nuove sfide da affrontare e delle nuove paure con cui confrontarsi. La prima paura che ho dovuto affrontare è che Gaetano perdesse la voglia di vivere e di lottare, quindi cercai innanzitutto di “sostenere lui” e di stargli vicino in modo positivo; poi pensai a me: “Cosa sarebbe divenuto ora il mio ruolo di mamma? di donna? di professionista? come sarei cambiata?”. Immediatamente compresi che il sostegno degli altri, il supporto materiale e pratico sarebbe stato fondamentale per affrontare questa patologia, che bisognava rendere ancora più forti i legami con le persone che ami per proteggersi tutti dalla solitudine e dallo sconforto, che spesso ti prende. Questa malattia ha il potere di portarti via tutto, è forte. La tua vita viene completamente stravolta, ogni singola abitudine che ti apparteneva muta, diviene altro: la casa e i suoi spazi cambiano; il tuo amato cane non riesci più a gestirlo; i luoghi a te cari sono oramai non accessibili; la gestione del tempo muta tuo malgrado. Con la SLA in casa devi necessariamente cambiare prospettiva di vita. Certo, all’inizio del percorso sei arrabbiato, ti domandi spesso “perché proprio a noi?” poi comprendi che non ha senso, che non avrai una risposta e che devi canalizzare tutto, soprattutto i sentimenti negativi, per tornare a combattere e dunque a vivere. Non nascondo che a volte questa domanda si ripresenta in me, così come la rabbia. Questa in particolare quando, mio malgrado, mi devo confrontare con l’insensibilità, “i muri di gomma”, “la burocrazia”, che per sua natura non comprende.
La SLA cambia anche la struttura familiare, le mie figlie, ad esempio, hanno vissuto pochissimo la famiglia, diciamo, “tradizionale”; accanto a mamma e papà ci sono sempre figure di supporto a Gaetano, dal fisioterapista, agli infermieri ai volontari. Questo, se da una parte, ha permesso di sentirci meno soli ad affrontare il peso della malattia ha comunque tolto la nostra intimità e quotidianità, il nostro senso di appartenenza ad un nucleo preciso e unico. Non è semplice rendere questa malattia a “misura di bambino”, renderla meno aliena e accettabile. Noi genitori abbiamo un compito molto difficile: quello di dire ad un figlio cosa sta accadendo e accadrà. Io ho chiesto, sin da subito, il supporto di uno specialista che mi disse di dare un nome a ciò che stava accadendo e che, nonostante le bambine fossero piccole, bisognava raccontare la verità. Oggi mi fa sorridere che per loro qualsiasi forma di disabilità ha un solo nome: SLA. Direi che insieme, noi quattro, ci siamo costruiti una prospettiva di vita differente, fatta di altri valori e di confronti profondi. Il nostro mondo è circondato da persone che si capiscono e si sostengono e questo grazie al potere immenso dell’associazione che ogni giorno rappresenta un punto di riferimento e di aggregazione per le persone affette da SLA e per i loro familiari e amici. Chi fa parte di “Io Posso”, fa parte di una comunità che si confronta sulla patologia e sulle sue particolari richieste, ma soprattutto si domanda come migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità; proponendo progetti e idee che sembrava impossibile realizzare e invece…
Giorgia Rollo è Presidente dell’associazione 2HE; Moglie di Gaetano Fuso; Mamma e Avvocato
Grazie Giorgia. Le tua testimonianza riscalda il cuore ed infonde tanto coraggio. Quello che a volte sembra scomparire di fronte all’indifferenza di alcuni ed all’incompetenza di altri. Silvia, mia moglie, si è ammalata di sla a quasi 60 anni ed in una forma per fortuna lenta, ma in questi tre anni la sla ha cambiato la nostra vita e continua a cambiarla. Per fortuna ci siete voi lì e tanti amici qui a ricordarci che insieme si può. Si può, per esempio, sperare di rivederci ancora quest’estate a godere del mare splendido di San Foca. Buon anno. Alfredo.
Gentile Signora
Giorgia Rollo,
poco fa ho saputo, da un servizio apparso nella rubrica “TG3 – Fuori TG” condotta da Maria Rosaria De Medici” su RAI3, dell’associazione “Io posso” da Lei fondata: ne ho parlato a mia moglie, la quale si è chiesta se potesse portare alla Sua attività un proprio contributo come infermiera recentemente pensionata (dal 1/12/2023).
Restiamo in attesa di una Sua notizia (che ci potrà inviare anche tramite il canale “Whatsapp”: 327 7348277) ed intanto Le esprimiamo la nostra gratitudine per la Sua iniziativa.
Nino Civolani