Intervista a MARISTELLA TAURINO

Psicologa – Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico con certificazione SIPO di Psico-oncologa di I° livello e con esperienza in Cure Palliative.

Dott.ssa come si può sostenere il paziente nella scelta terapeutica per la SLA?

È sicuramente essenziale iniziare dal farsi carico degli aspetti emotivi, dei vissuti, che il paziente e i suoi cari si trovano ad affrontare fin dal sospetto diagnostico della malattia. La persona affetta da SLA si trova a dover elaborare diversi e ripetuti lutti, legati alla privazione di alcune delle principali funzioni vitali. Per questo la carenza di un’adeguata presa in carico degli aspetti emotivi avrà inevitabilmente delle ricadute anche sulle scelte del trattamento terapeutico per la SLA. Dovendo fronteggiare delle angosce pervasive e profonde, proprie e di chi sta loro vicino, il paziente è costretto a ritrovare una propria identità nella malattia, a doversi confrontare e ad elaborare il pensiero della morte e della vita con la malattia. Un percorso, complesso e doloroso in cui la possibilità di avvalersi di un professionista potrebbe fare la differenza. Come afferma G. Lonati “Siamo chiamati a costruire una relazione di cura rispettosa di quell’unità inscindibile che sono il paziente e la sua famiglia che si trovano in un terreno delicato in cui paura, stanchezza, senso di abbandono, sofferenza estrema si sovrappongono”. E questa cura rispettosa passa anche dal bagaglio di strumenti propri del professionista psicoterapeuta: la riservatezza, l’astinenza e la neutralità. Ovvero una necessaria abilità di mantenere un atteggiamento non giudicante nei confronti del mondo interiore nonché dei comportamenti del paziente e dei familiari per promuovere lo sviluppo di una sana relazione d’aiuto e consentire un’apertura a osservare, conoscere e stimolare la conoscenza.

A livello giuridico, il paziente affetto da SLA, può decidere di rifiutare alcune terapie, prima fra tutte la terapia nutrizionale?

Approfitto di questa domanda per ampliare il campo di osservazione a ciò che riguarda il tema delle scelte terapeutiche in generale; scelte indubbiamente non facili per tutta una serie di implicazioni che oltre al livello giuridico, vedono coinvolti anche altri livelli di cui tener conto perché influiscono sul processo decisionale, come quello spirituale, religioso, etico-deontologico, culturale, medico/clinico e non ultimo psicologico. Ritengo che quando una persona con una malattia così impegnativa da affrontare arrivi a rifiutare o rinunciare ai trattamenti occorra avvicinarsi con il massimo rispetto e con quel atteggiamento non giudicante di cui le parlavo prima per poter comprendere i suoi vissuti e i bisogni che spingono ad esprimere o meno quella scelta per aiutarla e sostenerla in un percorso di elaborazione e decisione più consapevole possibile. Sappiamo che nel caso di trattamenti potenzialmente gravosi, la parte fondamentale del processo decisionale spetta alla persona ammalata. Questo lo dice la Legge, lo dice la Deontologia medica; anche la Chiesa, e in particolare Papa Francesco nel suo messaggio ai partecipanti al meeting regionale ed europeo del 2017 sulle questioni del fine-vita ha fatto riferimento al “criterio etico e umano” già espresso nella dichiarazione Iura et Bona sull’eutanasia del 1980. Su questo argomento vi segnalo l’interessante lavoro del Dott. M. Sabatelli che fornisce delle informazioni utili a questo riguardo. Detto ciò la cosa importante da sottolineare che nessuno dovrebbe essere lasciato solo davanti a queste scelte così difficili e cariche di conflitti. Tali scelte, dovrebbero essere il risultato di un dialogo costante tra persona ammalata e il team multidisciplinare (medici, psicologo, ecc..), nel quale i principi di appropriatezza, proporzionalità e consensualità costituiscono i riferimenti indispensabili, al fine di evitare anche eventuali forme di inopportuno accanimento. Questo purtroppo ahimè non sempre avviene e non in tutte le realtà del territorio. Per questo dovremmo impegnarci ancora di più affinché si proceda in questa direzione più umana direi.

Quanto è sottile il limite tra cura e accanimento terapeutico?

Bella domanda! Qui apriamo una riflessione molto interessante e delicata con cui ogni professionista si trova a confrontarsi nella sua pratica clinica; direi che è tanto sottile quanto la differenza che c’è tra il farsi rispettosamente carico dei bisogni del paziente e il perseguire un’idea di cura che si sottragga dalla relazione con lui (in cui a volte si nascondono le nostre difese rispetto all’angoscia). Ovviamente la questione è più complessa di così ma questo può essere intanto un primo punto da cui partire per riflettere non dimenticando anche il discorso sul consenso del paziente e i cosiddetti principi di proporzionalità terapeutica e appropriatezza, l’evidenza scientifica, l’esperienza del medico, ecc…

Cosa servirebbe al paziente e ai suoi familiari per arrivare a fare una scelta consapevole?   

Servirebbe un équipe multidisciplinare di professionisti di cui, dal mio punto di vista, dovrebbe essere parte integrante e fondamentale lo psicologo/psicoterapeuta per far sentire sorretti e ascoltati il paziente e la sua famiglia che altrimenti potrebbero trovarsi in uno stato di confusione e abbandono come spesso purtroppo accade, sentendosi disarmati davanti ad una sfida che colpisce così duramente. Il modello preferenziale per la cura di malattie come la SLA dovrebbe essere quindi il modello delle scelte condivise che ha i suoi capisaldi etici e clinici nel consenso informato e nelle direttive anticipate di trattamento, intesi però non come meri moduli da compilare ma, come dicevo prima, dal risultato di una relazione di cura basata sul dialogo costante tra persona ammalata e team multidisciplinare al fine di permettere il rispetto delle volontà anticipate del malato assicurandone la dignità personale. Perché, ad esempio, in una determinata situazione di emergenza, il fatto che le volontà attuali espresse in quella circostanza siano il risultato documentato di un percorso personale e condiviso piuttosto che agite sulla base della angoscia del momento, è sicuramente di aiuto e può fare la differenza anche rispetto ai successivi risvolti clinici e psicologici. Ovviamente è importante precisare che la persona può sempre cambiare opinione in qualsiasi momento e questo viene chiaramente esplicitato anche nella sottoscrizione del documento. Su questo le Cure Palliative possono dare un grande contributo ed essere una grande risorsa per tutti. Per “palliative” non si intende “inutili” o “alternative”, come si potrebbe pensare nel senso comune, ma “palliativo” in questo caso deriva dal latino pallium che significa mantello. Questo rende l’idea di come le Cure Palliative hanno come scopo la presa in carico globale delle persone affette da malattie inguaribili e delle loro famiglie, non solo nell’accompagnamento del percorso di fine vita, ma, attraverso un approccio palliativo precoce secondo il paradigma della cure simultanee, possono contribuire a migliorare la qualità di vita del paziente. Occorrerebbe insomma che i sanitari, gli operatori, le varie figure coinvolte nel team multidisciplinare, non si sottraggano alla relazione difendendosi dietro un sapere meramente scientifico escludendo la comprensione emotiva ed umana della condizione a cui porta la malattia.

Ovviamente la gestione del carico emotivo che questo comporta richiede una formazione psicologica adeguata da parte degli operatori, risultato certamente di un’organizzazione, esperienza, ma soprattutto un grande lavoro su se stessi, perché meccanismi di difesa come la rimozione, la negazione e l’identificazione sono propri della nostra psiche. Per questo è importante che i professionisti abbiano uno spazio di supervisione psicologica nel loro lavoro per elaborare anche i propri vissuti che inevitabilmente si attivano nell’incontro con l’Altro. Quando dico questo penso ad esempio alla grande funzione svolta dai Gruppi di tipo Balint per gli operatori, questo porta oltre a delle ricadute nel miglioramento delle relazioni di cura, anche alla prevenzione del burnout per chi lavora in questi contesti.

Intervista raccolta d Raffella Arnesano