Intervista a: Barbara Santini – Psicoterapeuta esperta in patologie neurodegenerative

Dott.ssa come vivono la situazione “coronavirus” le famiglie con pazienti affetti da SLA?

Quello che posso restituire dalla mia esperienza è che ci sono due tipologie di famiglie: una che decide volontariamente di prendersi totalmente in carico il parente malato di SLA, riducendo drasticamente tutto il personale che ruota attorno alla patologia e l’altra che invece si sente completamente abbandonata e dunque non seguita nel percorso quotidiano di assistenza. Personalmente non ho mai sospeso gli incontri con le famiglie, ho solo cercato delle modalità alternativa per dare continuità al mio lavoro e sostegno ai pazienti e ai caregiver che già vivono una situazione complessa, oggi aggravata dalla presenza del coronavirus. Le nuove tecnologie, dunque, ci permettono di non spezzare il filo con le famiglie delle persone affette da SLA e questo è un obiettivo molto importante da raggiungere. Purtroppo, così come prevedevo, anche coloro che dicevano che le regole imposte, per arginare il contagio da coronavirus, non avrebbero cambiato di molto il loro stile di vita, già di per sé molto isolato, oggi soffrono la mancanza di aiuto. Inoltre, rilevo che malgrado il mondo esterno, rimanendo in casa, appaia lontano e non lo si veda, comunque ci raggiunge, con le notizie dai media ad esempio. Allo stesso modo ci raggiungono le emozioni, le tensioni e le paure, dunque un inevitabile contagio emotivo. Per cui un sostegno psicologico calato in questo momento che stiamo vivendo lo vedo necessario anche per chi in qualche modo all’inizio lo negava.

Ci sono delle raccomandazioni da dare per proteggere il benessere e la qualità della vita dei caregiver?

La prima e semplice raccomandazione che ho da subito indicato ai mie pazienti è quella di non farsi raggiungere da informazioni “tossiche”. Oggi l’immediatezza dei mezzi di comunicazione permette di fare circolare notizie, spesso false, che generano un clima di terrore e paura assolutamente nocivo per il benessere della persona. Scegliere accuratamente da dove prendere le informazioni, evitando di diventare compulsivi nella ricerca di dati e di opinioni, è dunque la prima regola da seguire. La secondo raccomandazione è quella di darsi degli obiettivi (giornalieri, settimanali), anche piccoli, per gratificarsi; un modo per “aprire una finestra” che ci cali nella positività e in un luogo che appartenga solo a noi: un corso di pittura, una sessione di Yoga, una visita guidata tra i musei del mondo, tutto ovviamente accessibile in modalità on-line. In realtà queste raccomandazioni dovrebbero essere seguite da tutti noi.

Come possiamo proteggere i bambini da questo clima di paura e di diffidenza?

I bambini devono essere ascoltati, questo non vuole dire costringerli a parlare, ma vuol dire osservarli. Il bambino che inizia ad avere problemi a gestire emotivamente il peso di questa situazione inizierà, probabilmente, ad avere disturbi del sonno, a fare degli incubi, a diventate aggressivo e a volte potrebbe piangere. L’isolamento per i nostri bambini è una situazione nuova da gestire ed è per questo che noi adulti dovremmo riuscire a stimolarli attraverso il gioco o l’attività fisica. Oggi alle famiglie si richiede un grandissimo sforzo e questo sforzo diventa ancora più importante quando in famiglia bisogna pensare anche alla gestione di una persona affetta da una patologia cronica e degenerativa quale la SLA.

Dott.ssa, secondo lei, cosa accadrà dopo l’emergenza?

Innanzitutto si dovrà affrontare la paura di uscire dall’isolamento, che in qualche modo ci protegge e al quale molti si sono abituati. Questo stato di isolamento, di locked-in è spesso adottato dai caregiver dei malati di SLA. Un locked-in “nel corpo” ma anche “nel mondo”, che noi psicoterapeuti cerchiamo sempre di contrastare spronando le persone a “uscire fuori”; a riprendersi il proprio spazio nella vita sociale.  Oggi temiamo una “cronicità” dell’isolamento che faremo molta fatica a superare soprattutto se non arriverà un sostegno concreto alle famiglie delle persone affette da SLA. Penso, infine, che anche le persone comuni, che non vivono situazioni di malattia in casa (così come, ad esempio, i medici attualmente in prima fila contro l’epidemia), avranno un ritorno emotivo importante che potrebbe richiedere il supporto degli specialisti.

Intervista di: Raffaella Arnesano